Il pattern operativo della Casa Bianca
C'è un pattern nella politica estera di Donald Trump: qualunque cosa faccia il presidente americano, Vladimir Putin non paga mai davvero il conto.
C'è un pattern nella politica estera di Donald Trump: qualunque cosa faccia il presidente americano, Vladimir Putin non paga mai davvero il conto.
Mentre Pechino e Mosca consolidano la loro presenza in America Latina, Washington fatica a ricostruire una rete di alleanze credibile e multilaterale nel proprio emisfero.
Medvedev si è lasciato alle spalle i toni da riformista e oggi veste i panni del falco, agitando lo spettro nucleare per tornare al centro della scena.
La potenza militare statunitense è ormai solo un ricordo: arsenali vuoti, cantieri navali ridotti, carenza di munizioni, personale non idoneo e impianti produttivi obsoleti rendono impossibile sostenere un conflitto ad alta intensità, soprattutto contro un rivale come la Cina. Eldridge Colby, capo stratega nominato da Trump, riassume la situazione in modo netto: «se qualcuno chiama il bluff, è la catastrofe».
La democrazia raramente muore di colpo. Spesso la sua fine arriva lentamente, nascosta dietro il caos politico e la normalizzazione dell'assurdo. Il rischio più grave dell'amministrazione Trump potrebbe non essere la sola cattiva volontà, ma il caos politico generato da decisioni impulsive e incoerenti. La democrazia, infatti, non muore soltanto nell'oscurità o nel dispotismo. Sotto Trump, rischia anche di spegnersi lentamente nel silenzio dell’indifferenza.
Il secondo mandato di Donald Trump ha trasformato la percezione del ruolo globale degli Stati Uniti, spingendo il Paese a interrogarsi sulla propria presenza internazionale con un approccio che privilegia il guadagno immediato rispetto agli ideali condivisi. Questo cambiamento ha suscitato reazioni contrastanti e solleva dubbi sul futuro della leadership americana.
Trump ha infranto l’illusione di un’alleanza transatlantica garantita, costringendo l’Europa a ripensare la propria sicurezza. Mentre il mondo si muove verso un ordine instabile, l’UE oscilla tra autonomia strategica e interdipendenza globale, senza ancora una visione chiara sul suo futuro ruolo geopolitico.
A un mese dall’insediamento di Trump, il conflitto in Ucraina è sospeso tra un fragile cessate il fuoco e il rischio di una guerra globale. Trump si è affermato come mediatore chiave, ma rimangono nodi critici su territori occupati e adesione dell’Ucraina alla Nato. L’Europa, qualunque sia l’esito, dovrà assumersi responsabilità strategiche, sia militari che politiche, e accelerare la creazione di uno scudo anti-missile per garantire la propria sicurezza.
Putin ha trasformato la guerra in Ucraina in un confronto globale tra la Russia e l’Occidente, opposte non solo su interessi territoriali ma su visioni del mondo inconciliabili. L’equilibrio del terrore nucleare, garantito in passato dal senso del limite, è svanito, e l’atomica da tabù assoluto è diventata una minaccia quotidiana. Questo cambio di paradigma rende il conflitto ancora più pericoloso, avvicinando l’impensabile: un’esplosione non lascerebbe né vincitori né vinti, solo il silenzio della fine.
La popolazione ucraina è esausta dai bombardamenti russi, mentre Zelensky adatta una nuova strategia: l'idealismo patriottico lascia il posto a un “piano di resilienza”. Con Trump di nuovo alla Casa Bianca, crescono i dubbi sul futuro degli aiuti e sull’approccio necessario per contrastare Putin in una guerra sempre più logorante.
Un anno e mezzo fa, la guerra in Ucraina ha innescato una spirale di rincari dell'energia, con il gas e il petrolio che hanno subito aumenti vertiginosi. Oggi, il conflitto tra Hamas e Israele minaccia una crisi energetica in grado di ripetere lo stesso scenario, con conseguenze drammatiche per l'economia europea e italiana. Come possiamo affrontare questa sfida?
Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame. Una Meloni a Roma si sveglia ogni mattina all'alba e sa che dovrà correre più di Salvini per non morire di sondaggite